Le motivazioni del Tribunale del Riesame sulla decisione di custodia cautelare in carcere per Chiara Petrolini

SMA MODENA
Procura della Repubblica di Parma

Secondo il Tribunale del Riesame l’agire di Chiara Petrolini sarebbe stato sempre connotato da: “estrema lucidità, inusitata freddezza esecutiva, sconcertante assenza di scrupoli o remore, apparente mancanza di qualunque ripensamento, oltre che di sfrontatezza, inaffidabilità totale nelle relazioni personali anche più intime, eccezionali capacità sia di nascondimento dei propri misfatti sia di mistificazione e dissimulazione e mancanza di partecipazione e di compassione”.

“La vicenda, per la delicatezza intrinseca degli accadimenti legata al coinvolgimento di una giovane mamma, di un inconsapevole padre e soprattutto di due incolpevoli neonati, per la complessità delle questioni giuridiche, per la quasi unicità, nel suo genere, delle condotte contestate, è sembrata subito caratterizzata da uno specifico interesse pubblico, per cui appare necessario un periodico aggiornamento sugli sviluppi del procedimento, a condizione che, ovviamente, siano rispettati il segreto investigativo, la riservatezza di tutti gli attori e la presunzione di innocenza – dichiara il procuratore della Repubblica Alfonso D’Avino”. 

Il 27 novembre scorso, il Tribunale del riesame di Bologna ha depositato le motivazioni dell’ordinanza con la quale, all’esito dell’udienza del 15 ottobre, ha accolto integralmente l’appello del Pubblico Ministero di Parma, disponendo, per Chiara Petrolini, la custodia in carcere per l’omicidio pluriaggravato e soppressione di cadavere per il bambino nato il 7 agosto 2024 e la soppressione di cadavere per il bambino nato il 12 maggio 2023 e seppellito lo stesso giorno.

Nella articolata ordinanza, il Tribunale ha analizzato le argomentazioni del gip, del pm e della difesa.

Per quanto riguarda il primo quesito posto dalla Procura di Parma attraverso l’appello, il Tribunale di Bologna ha risposto che la condotta di seppellimento del bambino nato lo scorso agosto, in realtà ha gli estremi del reato di soppressione di cadavere, che è più grave dell’occultamento.

Il Tribunale del riesame ha analizzato le dichiarazioni che Chiara Petrolini aveva reso il 2 settembre, quando disse che la prima cosa che le era venuta in mente era stata quella di seppellire il neonato nel giardino, usando una paletta per scavare una buca e, non essendovi riuscita, aveva utilizzato una buca già scavata dai suoi cani, limitandosi a ricoprire il corpo con la terra.  

Il Tribunale si è soffermato su alcuni aspetti che si riveleranno importanti ai fini della decisione ossia le dimensioni della buca (cm 80 x 60; profondità di circa 24 cm); le ricerche su internet riferibili alla seconda gravidanza e al secondo parto (con l’atteggiamento di negazione, da parte della Petrolini il 2 settembre, di un parto precedente a quello di agosto); il rinvenimento di resti scheletrici riconducibili a un altro neonato a termine di circa 40 settimane.

Il Tribunale di Bologna ha dunque ritenuto la tesi del gip non condivisibile per diverse ragioni.

La prima: l’inumazione, o seppellimento nella terra, è una pratica obiettivamente atta a provocare la dissoluzione del cadavere nel corso del tempo, ed è pertanto idonea alla realizzazione della soppressione del cadavere. Irrilevante è apparsa anche la circostanza che la buca fosse già esistente, posto che l’uso di una buca già pronta non può incidere sulla idoneità della buca stessa.

Neppure decisivo è stato valutato il dato antropometrico della circonferenza cranica del neonato (32 cm), posto che a tale circonferenza corrisponde una testa di appena 6-7 cm, per cui, per le dimensioni complessive, la buca era del tutto idonea alla completa inumazione del piccolo cadavere.

Inoltre, per stessa ammissione dell’indagata, il corpo era stato ricoperto da uno strato di terra (che il Tribunale ha valutato di spessore di diversi centimetri) e nulla autorizza a ipotizzare la fuoriuscita di qualche parte del corpo dal terreno.

L’attività successiva dei cani e della pioggia, che avrebbero riportato allo scoperto il cadavere, è solo ipotetica e non può valere a escludere l’idoneità oggettiva dell’azione compiuta dalla Petrolini, che deve essere valutata per quello che si prospettava al momento del seppellimento e non per quello che poi è avvenuto dopo. 

Infine, il primogenito della Petrolini, era stato seppellito in una buca scavata dall’indagata, a brevissima distanza rispetto a quella di agosto 2024 eppure, nonostante la presenza dei cani e il seppellimento a una profondità di soli 30 cm, i resti sono stati trovati dopo oltre un anno, ma solo perché scoperti dalla Polizia giudiziaria sulla base di apposte ricerche.

Il Tribunale, nel valutare l’atto di appello, ha poi riportato la risposta che la Petrolini ha dato al pm che le contestava la ricerca fatta su internet il 7 agosto 2024: “dopo quanto tempo puzza un cadavere”.

In pratica subito dopo il parto, aveva dichiarato: “l’avevo cercata per i cani, perché pensavo che potessero sentire l’odore e quindi tirarlo fuori. Io non l’avrei mai spostato da lì”, espressione dalla quale è parso chiaro che l’intenzione della Petrolini per sua stessa ammissione non era quello di occultare temporaneamente il coro, ma per sempre.

In definitiva, secondo il Tribunale di Bologna, si è trattato di una replica esatta della situazione del 2023 e non c’è ragione per ritenere che, a distanza di un anno, lo stesso modus operandi debba essere valutato diversamente. 

Il Tribunale ha poi affrontato il tema della modalità di custodia.

L’ordinanza del gip si fondava su due soli elementi: da un lato, l’assenza di precedenti penali che abbiano prodotto pregresse esperienze detentive; dall’altro, il controllo esercitato dai familiari conviventi, ritenuto idoneo a neutralizzare il rischio che l’indagata cerchi di attirare nel suo domicilio degli estranei.

Quanto ai precedenti penali, secondo il Tribunale, possono essere utilizzati per valutare la pericolosità sociale o meno, ma non per valutare l’adeguatezza della misura; d’altra parte anche una persona incensurata può presentare caratteri di pericolosità sociale elevata, rispetto per esempio a una persona pregiudicata per reati minori.

Quanto al controllo da parte dei genitori, il Tribunale ha sottolineato la maggiore età dell’indagata e i genitori, per questo, non sono tenuti a esercitare alcuna forma di controllo, né diretto né indiretto. E, pur se si volesse ammettere che i genitori siano propensi ad accettare di impegnarsi con dedizione al controllo, la loro disponibilità potrebbe venir meno (legittimamente) in qualsiasi momento e in ogni caso il controllo mai potrebbe essere effettuato in maniera continuativa e assidua, anche perché, essendo liberi di muoversi, potrebbero assentarsi in qualunque momento.

Il controllo sull’indagata, dunque, si ridurrebbe a un controllo di fatto e mai potrebbe essere un controllo di diritto e in ogni caso giammai potrebbe essere equiparato al controllo esercitato con la custodia in carcere, per cui non potrà essere considerato un valido equipollente o un succedaneo dell’applicazione della custodia in carcere, che è la misura che la legge presuntivamente indica come imprescindibile nei casi di omicidio volontario.

Il Tribunale passa poi ad analizzare la memoria difensiva, secondo cui il pericolo di reiterazione criminosa sarebbe limitato a condotte analoghe a quelle oggetto di imputazione, ovvero a gesti delittuosi che hanno strettamente a che vedere con il rapporto di filiazione e con la negazione della maternità, per cui, al fine di evitare che si ripeta quanto già accaduto, sarebbe sufficiente scongiurare che soggetti estranei entrino in contatto con Chiara, anche perché – secondo la difesa – solo verso un figlio, peraltro appena nato, sarebbe seriamente ipotizzabile che possano verificarsi nuovi delitti della stessa specie: in altri termini, quel che (secondo la difesa) occorrerebbe evitare è che l’indagata concepisca altri figli, li partorisca e poi li uccida appena venuti alla luce.

A tal proposito, il Tribunale rileva invece, in primo luogo, che il pericolo di reiterazione criminosa non può essere limitato all’uccisione del proprio figlio appena nato, giacchè, tecnicamente, le esigenze cautelari sono riferite ai delitti della stessa specie e dunque ai delitti che offendono lo stesso bene giuridico (o che presentino uguaglianza di natura in relazione al bene tutelato e alle modalità esecutive).

Ma – argomenta il Tribunale – anche se si volesse ritenere che il pericolo di reiterazione criminosa sia ridotto alla sola negazione di maternità (e dunque fosse ravvisabile solo nell’omicidio di un proprio figlio neonato), ecco che in concreto proprio gli arresti domiciliari presso i propri familiari si rivelano inadeguati.

Il Tribunale fa dunque propria l’obiezione della Procura, nella parte in cui ha evidenziato che “sostenere la sufficienza della detenzione in casa per un soggetto che utilizza proprio la casa per delinquere appare francamente una contraddizione in termini”, ricordando che le due gravidanze, i due parti, le due morti, le due soppressioni sono tutte avvenute tra le mura domestiche, ove erano presenti i genitori, per cui non può essere né sufficiente né adeguato il controllo parentale che (proprio perché non esercitabile 24 ore su 24) non potrebbe giammai scongiurare che l’indagata possa concepire ancora (ricevendo in casa uomini), portare a termine gravidanze, partorire e sopprimere il figlio, senza peraltro destare alcun sospetto (come fatto nelle due occasioni precedenti).

Prendendo poi spunto dalle considerazioni che la Procura ha fatto per prospettare, in concreto, l’inadeguatezza del controllo da parte dei genitori, il Tribunale ha evidenziato alcune circostanze che depongono in senso contrario alla sufficienza del controllo parentale.

Il 7 agosto 2024, il parto e la sepoltura del bambino si sono verificati quando i genitori erano in casa, senza che nessuno si accorgesse di nulla. Lo stesso giorno, il padre si è accontentato della spiegazione della figlia sul ciclo mestruale abbondante quando ha notato il sangue sui tappeti, sul lavandino e sul rubinetto del bagno dove la figlia aveva appena partorito.

Inoltre, quando i genitori sono stati informati del fatto che a casa loro era stato trovato un neonato morto e sul posto erano presenti i Carabinieri e forse anche i Ris, non hanno ritenuto di anticipare il rientro a Parma, ma hanno proseguito la loro vacanza fino alla programmata data del rientro.

Per ammissione della stessa madre non ci si voleva: “rovinare il viaggio così lontano e organizzato da tempo”.

Infine, nel corso del colloquio intercettato in caserma il 19 agosto, la madre si è mostrata preoccupata di dover andare via di casa e forse anche di andare via dall’Italia.

La difesa di Chiara Petrolini ha introdotto una consulenza tecnica sul profilo psichiatrico. Il consulente scrive che si “intravede una condizione psicopatologica afferente ai disturbi della personalità che, per gravità, è fortemente suggestiva di un riverbero sull’imputabilità”. Circa questo aspetto il Tribunale ha rilevato che la relazione, per ammissione degli stessi consulenti, ha carattere solo preliminare, per cui qualsiasi considerazione in merito, non potrà che essere espressa quando si avranno a disposizione elementi più concreti e completi. Peraltro, come osserva il Tribunale, della presenza di eventuali patologie psichiatriche nessuno, neppure tra le persone più vicine all’indagata, ha mai mostrato di aver colto segnali. Anzi il Tribunale rileva che la stessa difesa, nella memoria depositata in udienza, parla di una ragazza normale, apparentemente serena, gioiosa e benvoluta, apprezzata baby sitter ed educatrice in parrocchia e nei centri estivi”.

Il Tribunale del riesame ha quindi concluso per la non ravvisabilità di elementi specifici che consentano di escludere che l’estrema pericolosità sociale palesata dalla indagata possa essere contenibile adeguatamente con la misura degli arresti domiciliari.

Alla luce di tutte le argomentazioni, dunque, il Tribunale di Bologna ha accolto l’appello del pubblico ministero.

“In ossequio al principio della presunzione di innocenza – spiega il procuratore D’Avino – va qui ribadito che ci si trova al cospetto di una decisione cautelare (e non di merito), peraltro non definitiva, posto che la difesa dell’indagata ha a disposizione il ricorso per cassazione avverso l’ordinanza appena esposta”.