Luca Farinotti: “Dario Costi sa che può perdere tutto, tranne la fede dei diecimila Mirmidoni. Ma non aspettatevelo in ripiegamento”

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Quattro mesi fa, un professore universitario in giacca cenerina e occhiali da secchione, si aggirava tra i monumenti di Parma per raccontare con timidezza la sua visione di città del futuro. Era l’inizio di un percorso da candidato sindaco di nicchia, destinato al classico unovirgoladuepercento, che, di lì a poche settimane, si sarebbe liquefatto nella scriteriata fioritura di dodici candidature.

Convinto da un manipolo di idealisti che i suoi studi decennali e le sue applicazioni urbanistiche, apprezzatissime in ambito accademico, fossero skills sufficienti (senza dover fare i conti coi partiti, con i media, con la destra, la sinistra e tutto il resto) a salvare la città da un degrado progressivo sull’orlo del non ritorno, Dario trascendeva le ferite aperte nel 2017 dall’algoritmo del potere che, proprio sul più bello, lo spense senza pietà, sostituendolo con un file di sistema più controllabile. “Ma stavolta sarà diverso! Libero, civico e indipendente, potrai arrivare dritto alle persone”.

Così chiamato all’azione, Dario cominciava il cammino a modo suo, ovvero presentando ai primi adepti centinaia di pannelli, tavole, schemi, interfacce, equazioni. Sogni. E poesia. Perché l’architettura urbana intelligente e illuminata è poesia civile. Contenuti virtuosi e futuribili per lo spazio in cui si deve vivere. E proprio per questo, però, da rimandare, forse senza speranze, alla dimensione del sogno. Accadeva, a questo punto, un primo miracolo: attratta dal suo progetto di partecipazione, cominciava a stringersi attorno a lui un’inattesa, cospicua, mole di persone che lui stesso ha poi ribattezzato “palle di neve che diventeranno valanga” prima ed “esercito dei Mirmidoni” poi.

Da sognatore di linee a incarnazione del sogno, Dario, si lascia strappare di dosso i panni del professore pacato e, calzando le sue Stan Smith consumate, viene incoronato dal furore mistico della sua gente. Arriva ai comizi salutando col pollice in alto e dando “il cinque” alle persone che lo aspettano in fila. Ormai incurante delle ripercussioni strategiche delle sue dichiarazioni e delle sue azioni. Nella sua evoluzione non c’è più spazio per i calcoli, le alleanze, le mosse politiche.

Anzi, più passano i giorni, più Dario, addentrandosi nei temi caldi, considera la sua una campagna d’inchiesta e di ricerca della verità che, preso da una vocazione estatica, è deciso a stanare e consegnare nelle mani dei cittadini. Tira sportellate a destra ed entra in tackle a sinistra, cercando il corridoio maestro, dritto tra le linee avversarie. E quando a un tratto sente l’odore del sangue del nemico, come il capitano di una squadra in rimonta che arringa la curva, chiama il coro “We are the people”! Se la campagna elettorale fosse un campionato e la sede di “Dario Costi Sindaco” uno stadio, nessuno uscirebbe indenne da Piazzale Boito.

Dario Costi in questi mesi si è trasfigurato. Non potrà mai più essere il prof che ha iniziato quest’avventura, ma non potrà nemmeno essere un politico nel senso corrente del termine. Perché è diventato la personificazione della maglia che indossa.

Per questo motivo non ha voluto esprimere orientamenti al ballottaggio: gemellati… con nessuno. Sa che può perdere tutto, tranne la fede dei diecimila Mirmidoni, il clamoroso tredicivirgolacinquepercento dei voti (il secondo miracolo) che gli hanno affidato la fascia di capitano e per i quali mangerà fino all’ultimo filo d’erba.

A costo di rinunciare a se stesso.

Non aspettatevi, nei prossimi mesi, un Costi in ripiegamento.

Tanto meno in smobilitazione.

Luca Farinotti

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