Caro Direttore, la tua riflessione sulla canzone dei Muse (leggi) presa ad esempio di canzone da utilizzare in un contesto liturgico mi ha riacceso un’antica (ormai, ahimè) querelle sulla musica liturgica, o se vogliamo dirla in modo popolare, sulla musica da chiesa.
Fin dagli esordi, i Muse di Matthew Bellamy hanno dimostrato di saper spaziare in modo alterno dall’aggressività di “Plug in baby” (dal secondo bellissimo “Origin of symmetry”) al misticismo neoclassico appunto di “Unintended” (che fa parte del primo album, “Showbiz”).
La preparazione musicale notevole rende i Muse un esempio di composizione intergenere: i chiari riferimenti alle forme armoniche classiche emergono anche in questa canzone… Da questo deriva parte della sua “applicabilità” ad un contesto liturgico… La progressione di accordi ricorda forme barocche ampiamente presenti, ad esempio, nella produzione di Vivaldi, sebbene con un’intenzione e arrangiamenti figli dei tempi contemporanei. Questa d’altra parte è una delle ragioni del grande successo dei Muse.
Ma non è dei Muse, né di “Unintended” che voglio parlare. Anche perché ognuno ha una sua personale classifica delle canzoni, anche in senso di elevazione spirituale… e questo non è affare discutibile dal punto di vista del gusto. La musica ha un potere salvifico e ci mette in contatto con l’anima e il trascendente forse più di altre forme di espressione artistica.
Piuttosto vorrei mettere a fuoco una questione credo tanto dimenticata – almeno nel dibattito religioso diffuso – quanto per questo attuale: qual è la situazione della musica “da chiesa” oggi?
Di conseguenza, quale musica oggi può interpretare un cambiamento che rispecchi il linguaggio musicale contemporaneo in modo coerente con lo spirito e i modi della funzione liturgica?
Rispondendo alla prima domanda, credo che la situazione sia molto negativa, per una ragione. Infatti, in ogni periodo storico la Chiesa ha accolto i cambiamenti nei gusti del popolo dei fedeli, introducendo, ovviamente coi suoi tempi e rigidità istituzionali, delle modifiche nella musica che accompagnava i momenti liturgici. In questo modo, attraverso la necessaria mediazione, l’evoluzione musicale è divenuta nel tempo, nei secoli, evoluzione della musica liturgica. Nei secoli in cui la Chiesa era egemone, il discorso veniva mosso addirittura dalla Chiesa verso la società.
Se pensiamo ai grandi musicisti del passato, chi non si è confrontato con una o più messe o musiche da funzione sacra? Il nostro Giuseppe Verdi ha trovato nel “Requiem” l’apice della sua composizione matura. Prima del suo l’altro celebre “Requiem” di Mozart. Ma come non ricordare le grandiose messe dei Maestri della polifonia (da Palestrina a Desprez e tanti altri). Come non ricordare i Corali del più grande di tutti i tempi: Johann Sebastian Bach… e il già citato Vivaldi?
Ogni epoca storica, da quando la musica ha una storia documentata, ha portato con sé uno stile nella musica religiosa, che in un certo senso rispecchiava le innovazioni tecniche e tecnologiche.
Se pensiamo ad oggi, non c’è nessun dialogo (fosse anche conflittuale) tra musica e Chiesa… Non sono a conoscenza, certo anche per mia ignoranza, di compositori nuovi in ambito liturgico, ma sicuramente si può affermare che non abbiano un impatto significativo nelle celebrazioni attuali.
L’ultimo confronto aperto e popolare tra “realtà musicale” e Chiesa risale alla cosiddetta “messa beat” dei figli del 68, con un largo utilizzo di strumentazione, armonie e ritmiche prese appunto dal beat degli anni 60. Un ultimo segno, se vogliamo molto ruspante ma decisamente vitale, a cui è seguito un lento riflusso, verso un passatismo d’ordinanza.
Attenzione: non c’è “bene” o “male” in questo. Non sto dicendo che sia meglio questa o quella musica. La vera questione è che la Chiesa ha progressivamente diminuito il dialogo con la società reale, fino a perdere l’energia stessa per produrre cambiamenti evolutivi anche nell’ambito della musica per celebrazioni liturgiche.
A meno che si voglia intendere con “cambiamenti” l’introduzione di concessioni, sempre più affidate al discutibile gusto individuale o di coppia, durante i (sempre meno frequenti) matrimoni religiosi. Non stiamo parlando, se qualcuno ha dubbi in merito, di introdurre canzoni di Lady Gaga (e andrebbe ancora bene, in parte) durante la messa… Stiamo cercando di capire come ridare un senso al dialogo tra mutamento della musica, spiritualità della musica, innovazione eventuale della musica in ambito liturgico.
Credo che, in un contemporaneo sempre più frastagliato e dispersivo, il primo compito di una “musica liturgica del XXI secolo” potrebbe essere quello di rendere conto della multiforme esperienza che la musica stessa può offrire a chi si accosta ai sacramenti.
Sarebbe fantastico ascoltare, ad esempio, un canto gregoriano accompagnato e sostenuto da ritmiche elettroniche: certo, il canto gregoriano dovrebbe essere messo “a tempo”, ma questo già accadde storicamente quando la notazione musicale imbrigliò progressivamente la forma sublime del canto originario, libero da ritmiche “precise”, che non fossero le ritmiche insite nella Parola, che, agostinianamente parlando, diventava preghiera doppia nel canto.
Credo, in linea generale, che una messa contemporanea non possa prescindere dall’inserimento dell’elettronica e delle sue incredibili potenzialità espressive, che già in altri ambiti entrano nelle nostre orecchie. In questo senso, per citare i più celebri, i Radiohead non possono che diventare un riferimento per elaborare un nuovo linguaggio musicale che possa rappresentare una spiritualità attuale. Ma chi può negare una potente spiritualità di “Dummy” dei Portishead? E così via… Per i più nostalgici, ci vorrebbe un sordo per non riconoscere una potente spiritualità nelle musiche dei Pink Floyd. Eppure non ho mai sentito “Breath” risuonare in una chiesa.
C’è spazio e ci sono soluzioni: ma ci deve essere apertura al confronto. Una buona mediazione sarebbe creare una specie di sintesi tra passato e presente, introducendo elementi che facciano sintesi dello straordinario patrimonio di musica liturgica a disposizione, in una logica armonica e acustica comprensibile dall’assemblea dei fedeli.
Ad esempio, il coro va bene (quando è intonato), ma a volte un solista può fare la differenza… E non serve Matt Bellamy in persona!
Certo, c’è bisogno di persone che abbiano competenze, gusto e coraggio per introdurre con misura le innovazioni. C’è, ancora di più, bisogno di sacerdoti che sappiano dare fiducia a giovani musicisti che hanno voglia di misurarsi con la Musica.
Quando vedrò due casse Bose piazzate in Chiesa collegate ad un Apple, oltre ad una Martin ben amplificata, comincerò a crederci.
Quello che è sicuro è che, se la Chiesa vuole inviare messaggi universali, come fa da più di 2000 anni, la questione “musica liturgica” non è affatto secondaria. E non la si risolve, mi sia permessa una chiosa polemica, con un dj-sacerdote americano che piazza della techno pesa all’alba sui giovani della GMG.
Per poi tornare al “Santo” preconciliare durante la messa.
Alberto Padovani