† Terra Santa 4 – Aspettando l’armageddon a Megiddo e che l’apocalisse arrivi il prima possibile (di Andrea Marsiletti)

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TeoDaily – L’Apocalisse di Giovanni è l’ultimo libro del Nuovo Testamento, l’unico testo apocalittico contenuto nella Bibbia, di ostica comprensione, che ha fatto fatica a entrare nel canone e ci è riuscito in funzione di contrasto allo gnosticismo.

L’ho letto qualche settimana prima di andare in pellegrinaggio in Terra Santa per potermi immergere in modo pieno e consapevole nella piana di Megiddo, una città biblica la cui esistenza è documentata fin dal 4.000 avanti Cristo, a pochi chilometri da Nazareth e dal monte Tabor in Galilea.

E’ qui che l’Apocalisse profetizza l’Armageddon (il nome antico era Har Məgiddô), il luogo della battaglia finale, il culmine degli eventi catastrofici che farebbero da preludio alla fine dei tempi e al giudizio universale di Dio sulla storia.

Il testo dell’Apocalisse descrive gli angeli che versano “le sette coppe dell’ira di Dio” sulla Terra.

L’Armageddon viene dopo il versamento della sesta coppa, dopo l’ulcera maligna, il mare e i fiumi che diventano sangue, il sole che brucia gli uomini e le tenebre che avvolgono il regno: “Poi il sesto angelo versò la sua coppa sul gran fiume Eufrate, e le sue acque si prosciugarono perché fosse preparata la via ai re che vengono dall’Oriente. E vidi uscire dalla bocca del dragone, da quella della bestia e da quella del falso profeta tre spiriti immondi, simili a rane. Essi sono spiriti di demoni capaci di compiere dei miracoli. Essi vanno dai re di tutta la terra per radunarli per la battaglia del gran giorno del Dio onnipotente. (Ecco, io vengo come un ladro; beato chi veglia e custodisce le sue vesti perché non cammini nudo e non si veda la sua vergogna). E radunarono i re nel luogo che in ebraico si chiama Harmaghedon“.

E’ lo scontro escatologico tra i re della Terra, incitati da Satana, e Dio, tra il Bene e il Male.


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E’ in questa piana che, alla fine del mondo, dopo la resurrezione dei corpi, con la parusia del ritorno di Cristo, avverrà il giudizio universale.

Sono salito su una collina per ammirare la piana, e mi sono ritrovato in un cimitero ebraico, nel silenzio pneumatico. Questi morti sono già qui, saranno in prima fila sotto le ringhiere come ai concerti di Vasco Rossi.

Ho pensato a come potrebbe essere nei fatti la resurrezione dei corpi, quel ritrovo in questa piana sì estesa che però, anche mettendole una sopra l’altra, non potrà mai contenere tutte le genti della storia dell’umanità.

Mi sono chiesto come riuscirò ritrovare e riconoscere nei loro corpi trasfigurati, in mezzo a quella moltitudine sterminata, i miei affetti, come a distanza di secoli o millenni tempo sarà il rincontro con loro, se i nostri sentimenti saranno ancora così intensi come lo sono ora o se i millenni li avranno così affievoliti da farci diventare risorti estranei.

Mi è venuta in mente la canzone “Unbreakable chain” (la catena che non si può spezzare) di Daniel Lanois, una canzone che amo e ho inserito nella playlist delle cene nell’eremo di Sole, sebbene ogni volta mi trafigga il cuore.

Avrei voluto accelerare il tempo e che l’apocalisse scoppiasse in quel momento.

Gesù ha detto che nessuno sa quando verranno la fine del mondo e la Gerusalemme Celeste; sappiamo solo che verranno all’improvviso, come la morte, ma quel giorno mi appariva così lontano e mi veniva ansia e affanno al pensiero di dover aspettare così tanto. Per stringere i tempi accetterei di presentarmi impreparato alla parusia, accetterei il rischio di giocarmi la partita con Dio con le poche carte che oggi ho in mano. Sono le catene umane che, ahimè, rimangono più solide di quelle divine.

Nella grande battaglia tra gli angeli e i demoni, le forze del Bene sconfiggeranno quelle del Male, ok, va bene, ma quando?

Mi domandavo perchè Cristo ci fa aspettare forse dei millenni per giudicare l’Umanità che è stata palesemente misera e corrotta fin dall’inizio, una Babilonia che potrebbe essere dannata già oggi in modo definitivo.

Senza aspettare il giudizio universale.

Senza appelli.

Non servono altre prove.

Aspettando l’apocalisse, qui e ora, a Megiddo.

Andrea Marsiletti


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