Il confronto di idee e di contrapposti documenti e ordini del giorno sul destino della TiBre si è riaperto, a segnare l’esistenza di una latente, irrisolta contrapposizione ultra cinquantennale fra gli interessi prevalenti nella regione Emilia Romagna (fatti propri dalla Istituzione Regione dal momento della sua realizzazione) e il territorio di Parma.
La contraddizione non si è, come taluni lamentano, nel tempo manifestata banalmente con piccole ingiustizie nella ripartizione di fondi e di contributi in materia di agricoltura, casa, assetto del territorio ecc., ambiti nei quali al contrario vi è stata sempre sostanziale equità; si è invece trattato, fin dalle origini, di una contrapposizione sostanziale, di ben più rilevante significato, sul ruolo e sui destini di Parma e del suo territorio nel quadro della pianificazione dell’assetto territoriale regionale, e della conseguente programmazione.
Le decisioni sui percorsi autostradali costituiscono il primo rilevante momento di questa contrapposizione. Le autostrade del nord (con l’eccezione della Milano-Torino e della Milan-Bergamo) furono pensate e progettate, in parte realizzate, negli anni cinquanta. Il primo tratto dell’A1 (Milano-Parma) è del 1958, prolungato fino a bologna nel 1960. Sempre negli anni ’50 fu avviata la progettazione della A15 (allora denominata Autocamionale della Cisa), la cui realizzazione – dovuta al determinante sforzo delle istituzioni locali interessate – si protrasse fino agli anni ‘70 inoltrati. Il tracciato fu pensato da subito in continuità con quello della futura A22 Autobrennero, come collegamento diretto fra Germania e Tirreno, con snodi sulla A1 e sulla Serenissima, e arteria di servizio di aree di grande rilevanza economica come Brescia-Verona e Trentino.
La progettazione, avvenuta alcuni anni dopo, dell’Autobrennero non avvenne secondo le intenzioni di cui sopra, logicamente dettate dalla geografia delle regioni interessate; l’asse Verona – Fontevivo – LaSpezia fu spezzato e la congiunzione con l’Autostrada del Sole fu spostata a Modena. Lo strappo fu il risultato dell’impegno congiunto di un importante uomo di Governo democristiano (Giuseppe Medici) e del contesto politico locale emiliano, nel quale sinistra parmense si trovava ai margini e comunque a rimorchio dei centri di forza dell’”Emilia rossa”. Non fu cosa certamente pensata male dal punto di vista modenese-reggiano: le fortune straordinarie del distretto ceramico, della piccola industria della meccanica e del tessile-abbigliamento di Carpi devono moltissimo a questa infrastruttura, oltre, ovviamente alla laboriosità e allo spirito di iniziativa delle popolazioni interessate.
La configurazione del nodo di Parma, all’incrocio fra due autostrade (Autosole e TiBre, di quest’ultima da subito prefigurando il ripristino del disegno originario con la realizzazione di una “bretella”) e fra due assi ferroviari (Pontremolese e Parma-Brescia) costituì il punto di partenza del disegno programmatorio che, con il concorso di forze politiche e rappresentanze economiche, fu elaborato all’inizio degli anni settanta. Un “comitato per la programmazione”, promosso dall’amministrazione provinciale, pose le basi di quell’assetto che per quarant’anni ha trovato ospitalità in tutti i programmi elettorali e amministrativi del Parmense. Gli elementi salienti del disegno programmatorio furono, oltre alla realizzazione della “bretella” Fontevivo – Nogarole e al raddoppio della Pontremolese, la realizzazione dell’aeroporto, lo spostamento dal giardino ducale e conseguente potenziamento degli impianti fieristici, il Centro di interscambio merci, la realizzazione della strada pedemontana e della strada cispadana.
Questi (allora) buoni propositi trovarono esplicitazione in una “quaderno della programmazione” pubblicato dalla Provincia di Parma.
Le idee sono state in buona parte realizzate, in particolare per quanto riguarda Fiera, Cepim e aeroporto. I ritardi amministrativi, la sostanziale non adesione della Regione (nata nel 1970 e operativa quindi da quel decennio) alla filosofia ispiratrice del disegno programmatico parmense e una serie di errori e sciatterie politiche, hanno fatto sì che questo perdesse via via di incisività e di mordente.
Tre in particolare gli errori.
Il primo, di atteggiamento: la città di Parma, ed in particolare la sua amministrazione, per lunghi decenni si è rinchiusa entro i propri limiti comunali, in una certa fase praticando un immobilismo nostalgico – conservativo, in un’altra fase perseguendo incongrue chimere di grandezza e di competizione in particolare con Bologna.
Il secondo di inefficacia politica nei rapporti con i poteri centrali: la lungaggine biblica della realizzazione della Pontremolese, opera mai veramente voluta dalle Ferrovie, ne ha nel tempo logorato l’interesse e ne ha fatto perdere il senso nel contesto di un disegno più generale. A sostegno di questa affermazione, si consideri il tracciato della ferrovia come attualmente prefigurato. Anziché congiungersi con la linea Milano Bologna in prossimità del Centro di Interscambio, come apparirebbe logico essendo il raddoppio fondamentalmente motivato dal trasporto merci da e per il Tirreno e da e per il Nord , il tracciato prevede lo sbarco diretto nella stazione di Parma, non attrezzata per la gestione dei carichi. Con in più, la necessità di realizzare l’attraversamento di un intero quadrante della città attraverso percorso interrato che comporterà inutile violenza sul tessuto urbano e prevedibili disagi.
Il terzo errore riguarda l’alta velocità (o capacità). Al tempo del “quaderno”, non si parlava ancora di TAV. Quando poi se ne parlò, la sua realizzazione, con la iniziale previsione di fermata mediopadana a Parma, si venne ad inserire perfettamente nel disegno programmatorio, configurando pienamente Parma come un nodo secondario di rete, per lo smistamento dei percorsi passeggeri oltre che di quelli delle merci. La stazione mediopadana avrebbe, se opportunamente posizionata, servito agevolmente il quartiere fieristico e gli insediamenti commerciali e industriali limitrofi e valorizzato altresì l’aeroporto (la più debole delle infrastrutture realizzate), che avrebbe a sua volta opportunamente dovuto coordinarsi con i più importanti aeroporti bolognese e milanesi. Una visione un po’ lungimirante avrebbe inoltre suggerito la realizzazione di una stazione unica per TAV e linea ordinaria, sempre nell’ottica della realizzazione del nodo secondario di traffico. Per motivi di debolezza e sciatteria politica, per l’incapacità di adottare scelte razionali e tempestive, la stazione mediopadana fu sottratta a Parma e spostata irragionevolmente a Reggio, dove isolata da ogni contesto diverso da quello locale reggiano, fa bella mostra di sé in mezzo ai campi, splendido esempio di moderna architettura ma insieme di insipienza amministrativa e programmatica. A completamento di questa serie di infelici realizzazioni, a Parma rimase la c.d. “interconnessione” della cui utilità è lecito aver qualche dubbio e la nuova stazione ferroviaria, decorosa realizzazione che tuttavia non aggiunge alcun valore al sistema infrastrutturale locale.
Tutta questa chiacchierata, involontariamente noiosa, ha lo scopo di rinverdire le ragioni e ripercorrere i passaggi che ci hanno portati all’oggi.
La programmazione pensata negli anni ’70 e ancor prima, resta una incompiuta. Incompiuta per responsabilità locali ma anche per una evidente indisponibilità della regione (come Ente e come complesso delle forze in campo) verso un disegno programmatico che viene interpretato come alternativo alle aspirazioni territoriali di Reggio e Modena. Incompiuto è anche il disegno programmatico alternativo, anche se ricorre periodicamente e ancora in questi tempi, il tema dello spostamento verso Reggio – Modena dell’asse Brennero – Tirreno.
Ancora una volta ci si trova a discutere e a dividersi se fare o non fare la famosa “bretella”.
Chi scrive ritiene che l’opera, già avviata, progettata e in parte realizzata, debba essere portata a termine. Le obiezioni di chi è contrario non sono solide, a partire da quella che lamenta consumo del suolo e impatto ambientale. Se non si realizza questa, altre infrastrutture non meno impattanti sono prima o poi da metter in conto, fintanto che il collegamento con il Tirreno avrà ragioni per essere considerato.
La Regione (come Ente) va ricondotta al rispetto delle linee da tempo concordate. Dire che la Pontremolese è una priorità è cosa che sfiora il ridicolo, tenendo conto che generazioni di parmensi sono invecchiate a ridosso dei suoi cantieri. Sospetto è poi il richiamo al ministero delle infrastrutture come arbitro delle scelte di cui si parla; fatto salvo il rispetto e la stima per le persone, non può sfuggire che lo spostamento della stazione TAV avvenne con il governo Prodi e che ora alle infrastrutture siede il ministro Del Rio. Ambedue reggiani e, come tali, comprensibilmente portati a tener conto delle aspirazioni del proprio territorio d’origine.
Ma non ci si può fermare ad un si alla realizzazione di questa controversa e desiata opera: il quadro della infrastrutturazione del parmense va ripensato e vanno sottoposte a revisione le ragioni che mossero e ancora muovono importanti scelte nel merito.
Cosa è cambiato in quaranta anni? Quali nuove esigenze sono sorte? Come recuperare gli errori e le scelte sbagliate di cui abbiamo detto? Come rivitalizzare il patrimonio di infrastrutture la cui utilità ed efficacia fin qui non è stata pienamente dispiegate?
Sono i temi sui quali una classe politica e dirigente che voglia essere davvero tale è chiamata a cimentarsi. Se c’è.
Massimo Pinardi